Le luci pensate, i toni e i colori inediti in relazione con gli elementi decorativi personalizzati posti alle pareti, sono i protagonisti di queste Stanze Fotogeniche, vere finzioni spaziali che rispecchiano l’interiorità vitale ed esigente dell’artista. Entro set minimali, creati appositamente nel proprio atelier, Stefano Tubaro esegue “scatti fotografici” sempre meditati per rinnovare la propria esperienza umana, capace di compensare la deriva e lo sfruttamento dell’ambiente, l’incuria, l’inquinamento e gli eccessi di colori sgargianti, di rumori che violano lo spazio e il tempo individuale.
I contrasti tra le luci d’accento e quelle di atmosfera creano una gerarchia percettiva che valorizza in particolare alcuni angoli, i confini più lontani che trapassano i vuoti.
L’atmosfera metafisica di questi spazi affida alle luci la valorizzazione di singole zone o dei confini più lontani, che si raggiungono trapassando le aperture. A volte un’ottica strettissima genera lampi luminosi, bagliori sui soffitti e le pareti in cui affiorano gli Ossequi, che aggiungono un delicato effetto di tridimensionalità al fascino suggestivo dell’esperienza visiva.
Le luci pensate, i toni e i colori inediti in relazione con gli elementi decorativi personalizzati posti alle pareti, sono i protagonisti di queste Stanze Fotogeniche, vere finzioni spaziali che rispecchiano l’interiorità vitale ed esigente dell’artista. Entro set minimali, creati appositamente nel proprio atelier, Stefano Tubaro esegue “scatti fotografici” sempre meditati per rinnovare la propria esperienza umana, capace di compensare la deriva e lo sfruttamento dell’ambiente, l’incuria, l’inquinamento e gli eccessi di colori sgargianti, di rumori che violano lo spazio e il tempo individuale.
I contrasti tra le luci d’accento e quelle di atmosfera creano una gerarchia percettiva che valorizza in particolare alcuni angoli, i confini più lontani che trapassano i vuoti.
L’atmosfera metafisica di questi spazi affida alle luci la valorizzazione di singole zone o dei confini più lontani, che si raggiungono trapassando le aperture. A volte un’ottica strettissima genera lampi luminosi, bagliori sui soffitti e le pareti in cui affiorano gli Ossequi, che aggiungono un delicato effetto di tridimensionalità al fascino suggestivo dell’esperienza visiva.
Le luci pensate, i toni e i colori inediti in relazione con gli elementi decorativi personalizzati posti alle pareti, sono i protagonisti di queste Stanze Fotogeniche, vere finzioni spaziali che rispecchiano l’interiorità vitale ed esigente dell’artista. Entro set minimali, creati appositamente nel proprio atelier, Stefano Tubaro esegue “scatti fotografici” sempre meditati per rinnovare la propria esperienza umana, capace di compensare la deriva e lo sfruttamento dell’ambiente, l’incuria, l’inquinamento e gli eccessi di colori sgargianti, di rumori che violano lo spazio e il tempo individuale.
I contrasti tra le luci d’accento e quelle di atmosfera creano una gerarchia percettiva che valorizza in particolare alcuni angoli, i confini più lontani che trapassano i vuoti.
L’atmosfera metafisica di questi spazi affida alle luci la valorizzazione di singole zone o dei confini più lontani, che si raggiungono trapassando le aperture. A volte un’ottica strettissima genera lampi luminosi, bagliori sui soffitti e le pareti in cui affiorano gli Ossequi, che aggiungono un delicato effetto di tridimensionalità al fascino suggestivo dell’esperienza visiva.
Le luci pensate, i toni e i colori inediti in relazione con gli elementi decorativi personalizzati posti alle pareti, sono i protagonisti di queste Stanze Fotogeniche, vere finzioni spaziali che rispecchiano l’interiorità vitale ed esigente dell’artista. Entro set minimali, creati appositamente nel proprio atelier, Stefano Tubaro esegue “scatti fotografici” sempre meditati per rinnovare la propria esperienza umana, capace di compensare la deriva e lo sfruttamento dell’ambiente, l’incuria, l’inquinamento e gli eccessi di colori sgargianti, di rumori che violano lo spazio e il tempo individuale.
I contrasti tra le luci d’accento e quelle di atmosfera creano una gerarchia percettiva che valorizza in particolare alcuni angoli, i confini più lontani che trapassano i vuoti.
L’atmosfera metafisica di questi spazi affida alle luci la valorizzazione di singole zone o dei confini più lontani, che si raggiungono trapassando le aperture. A volte un’ottica strettissima genera lampi luminosi, bagliori sui soffitti e le pareti in cui affiorano gli Ossequi, che aggiungono un delicato effetto di tridimensionalità al fascino suggestivo dell’esperienza visiva.
Le luci pensate, i toni e i colori inediti in relazione con gli elementi decorativi personalizzati posti alle pareti, sono i protagonisti di queste Stanze Fotogeniche, vere finzioni spaziali che rispecchiano l’interiorità vitale ed esigente dell’artista. Entro set minimali, creati appositamente nel proprio atelier, Stefano Tubaro esegue “scatti fotografici” sempre meditati per rinnovare la propria esperienza umana, capace di compensare la deriva e lo sfruttamento dell’ambiente, l’incuria, l’inquinamento e gli eccessi di colori sgargianti, di rumori che violano lo spazio e il tempo individuale.
I contrasti tra le luci d’accento e quelle di atmosfera creano una gerarchia percettiva che valorizza in particolare alcuni angoli, i confini più lontani che trapassano i vuoti.
L’atmosfera metafisica di questi spazi affida alle luci la valorizzazione di singole zone o dei confini più lontani, che si raggiungono trapassando le aperture. A volte un’ottica strettissima genera lampi luminosi, bagliori sui soffitti e le pareti in cui affiorano gli Ossequi, che aggiungono un delicato effetto di tridimensionalità al fascino suggestivo dell’esperienza visiva.
Questi lavori monocromatici differiscono dalla produzione consueta di Stefano Tubaro. L’artista sente la necessità di valorizzare gli strumenti e i materiali utilizzati all’inizio della sua attività di fotografo, quando la tecnica analogica richiedeva modalità e processi di lavoro particolari. Stefano Tubaro decide di riappropiarsi di questi oggetti inutilizzati e archiviati in laboratorio, per rivivere il senso di queste presenze negli Ossequi. Tutto si configura in modo nuovo. Deposti su carta fotosensibile i vecchi caricatori, le diapositive, le bacinelle, le pinze, le pellicole imprimono tracce regolari, si strutturano in composizioni geometriche potenti e di grande significato. Scaturite da una serie di azioni sistematiche, ordinate e complesse, direttamente collegate al fenomeno preso a simbolo dell’epoca analogica, esse descrivono un cambiamento ancora in atto in Stefano Tubaro, vissuto dall’interno della sua dimensione processuale. L’artista vuole ridare valore alle azioni precise del fenomeno analogico per evocarle come metodo anche nel digitale; compito arduo l’agire rispettoso dell’importanza fondativa delle esperienze passate. La molteplicità dei contributi, la correlazione di eventi disparati che si legano strettamente gli uni agli altri, compiono metamorfosi, creano nuova bellezza anche nelle Stanze Fotogeniche. L’inclusione, difficilmente distinguibile degli Ossequi, risulta necessaria. Preziosa ora come allora.
Questi lavori monocromatici differiscono dalla produzione consueta di Stefano Tubaro. L’artista sente la necessità di valorizzare gli strumenti e i materiali utilizzati all’inizio della sua attività di fotografo, quando la tecnica analogica richiedeva modalità e processi di lavoro particolari. Stefano Tubaro decide di riappropiarsi di questi oggetti inutilizzati e archiviati in laboratorio, per rivivere il senso di queste presenze negli Ossequi. Tutto si configura in modo nuovo. Deposti su carta fotosensibile i vecchi caricatori, le diapositive, le bacinelle, le pinze, le pellicole imprimono tracce regolari, si strutturano in composizioni geometriche potenti e di grande significato. Scaturite da una serie di azioni sistematiche, ordinate e complesse, direttamente collegate al fenomeno preso a simbolo dell’epoca analogica, esse descrivono un cambiamento ancora in atto in Stefano Tubaro, vissuto dall’interno della sua dimensione processuale. L’artista vuole ridare valore alle azioni precise del fenomeno analogico per evocarle come metodo anche nel digitale; compito arduo l’agire rispettoso dell’importanza fondativa delle esperienze passate. La molteplicità dei contributi, la correlazione di eventi disparati che si legano strettamente gli uni agli altri, compiono metamorfosi, creano nuova bellezza anche nelle Stanze Fotogeniche. L’inclusione, difficilmente distinguibile degli Ossequi, risulta necessaria. Preziosa ora come allora.
Questi lavori monocromatici differiscono dalla produzione consueta di Stefano Tubaro. L’artista sente la necessità di valorizzare gli strumenti e i materiali utilizzati all’inizio della sua attività di fotografo, quando la tecnica analogica richiedeva modalità e processi di lavoro particolari. Stefano Tubaro decide di riappropiarsi di questi oggetti inutilizzati e archiviati in laboratorio, per rivivere il senso di queste presenze negli Ossequi. Tutto si configura in modo nuovo. Deposti su carta fotosensibile i vecchi caricatori, le diapositive, le bacinelle, le pinze, le pellicole imprimono tracce regolari, si strutturano in composizioni geometriche potenti e di grande significato. Scaturite da una serie di azioni sistematiche, ordinate e complesse, direttamente collegate al fenomeno preso a simbolo dell’epoca analogica, esse descrivono un cambiamento ancora in atto in Stefano Tubaro, vissuto dall’interno della sua dimensione processuale. L’artista vuole ridare valore alle azioni precise del fenomeno analogico per evocarle come metodo anche nel digitale; compito arduo l’agire rispettoso dell’importanza fondativa delle esperienze passate. La molteplicità dei contributi, la correlazione di eventi disparati che si legano strettamente gli uni agli altri, compiono metamorfosi, creano nuova bellezza anche nelle Stanze Fotogeniche. L’inclusione, difficilmente distinguibile degli Ossequi, risulta necessaria. Preziosa ora come allora.
Questi lavori monocromatici differiscono dalla produzione consueta di Stefano Tubaro. L’artista sente la necessità di valorizzare gli strumenti e i materiali utilizzati all’inizio della sua attività di fotografo, quando la tecnica analogica richiedeva modalità e processi di lavoro particolari. Stefano Tubaro decide di riappropiarsi di questi oggetti inutilizzati e archiviati in laboratorio, per rivivere il senso di queste presenze negli Ossequi. Tutto si configura in modo nuovo. Deposti su carta fotosensibile i vecchi caricatori, le diapositive, le bacinelle, le pinze, le pellicole imprimono tracce regolari, si strutturano in composizioni geometriche potenti e di grande significato. Scaturite da una serie di azioni sistematiche, ordinate e complesse, direttamente collegate al fenomeno preso a simbolo dell’epoca analogica, esse descrivono un cambiamento ancora in atto in Stefano Tubaro, vissuto dall’interno della sua dimensione processuale. L’artista vuole ridare valore alle azioni precise del fenomeno analogico per evocarle come metodo anche nel digitale; compito arduo l’agire rispettoso dell’importanza fondativa delle esperienze passate. La molteplicità dei contributi, la correlazione di eventi disparati che si legano strettamente gli uni agli altri, compiono metamorfosi, creano nuova bellezza anche nelle Stanze Fotogeniche. L’inclusione, difficilmente distinguibile degli Ossequi, risulta necessaria. Preziosa ora come allora.