Lo scatto è tratto da un reportage che Pasquarelli ha realizzato per Financial Times Weekend sui piatti della tradizione romana del quinto quarto. Nel XIX secolo gli apprendisti macellai romani intorno al mattatoio di nuova costruzione a Testaccio venivano pagati in quinto quarto, cioè con le parti che un macellaio non poteva vendere. Cercavano quindi di venderli alle trattorie dei lavoratori locali, di barattarli con altri prodotti o di cucinarli per se stessi e le loro famiglie. Sono nati così alcuni dei piatti romani più gustosi e tradizionali.
Oikeiôsis è una parola greca che viene utilizzata per indicare l’autorealizzazione attraverso la conoscenza dell’Io interiore e che, nel lavoro dell’artista, ha come tema principale la nozione di memoria. La fotografa, nel suo progetto, utilizza immagini prodotte dall’infanzia fino ad oggi, applicando un processo di alterazione dell’immagine che sembra essere regolata da uno stato di coscienza a volte fragile e malinconico, a volte romantico o acuto, ma mai afferrabile. Le sue fotografie sono scatti realizzati passando tra la folla di un rave, dove i profili umani sono difficilmente riconoscibili: il pubblico diventa una sorta di ecosistema che vive e comunica attraverso immagini e suoni. Le sue fotografie raccontano la forza, la bellezza e la funzionalità del corpo umano, nonché l’amore per la propria specie e per la sua comunità.
Jacopo Valentini realizza opere che hanno spesso come soggetto la natura morta: in particolare è interessato a come, nella vita di tutti i giorni, riusciamo ad isolare un oggetto dal suo habitat e astrarlo. Indaga sulla funzione e il ruolo degli oggetti al di fuori dei loro spazi familiari. Altro tema trattato nei suoi lavori è il tema del paesaggio inteso non come elemento topografico ma come uno spazio senza dei chiari limiti: “il paesaggio è contenuto in una serie di differenti, e alle volte apparentemente lontane, situazioni”. Questi elementi sono ben visibili in opere come Pietra di Bismantova, ma anche nei Coralli della collezione Spallanzani.
Diversi punti di vista indagano la realtà urbana inquadrando edifici e vie cittadine in cui dominano i rapporti e le prospettive geometriche, che sintetizzano relazioni spaziali complesse ma essenziali. Nel qui e ora della strada Stefano Tubaro va oltre il limite dell’oggettività del presente. Egli indirizza il suo sguardo fuori dallo spazio e dal tempo abituali per immergersi in assonanze e dissonanze spesso ignorate. Le linee portanti scandiscono il ritmo dei chiaroscuri e sottolineano accenti e lampi di colore.
I muri intonacati, le pietre angolari, i capannoni industriali spesso inutilizzati, vivono in una luce nuova, in un tempo diverso da quello reale, saturo e cupo. Le immagini accolgono il senso vergine della poesia, percorso da cromatismi pensati e innaturali.
La luce filtra e si determina senza bisogno di fare corpo. Emerge nella leggerezza.
Ovunque traspare un’emergenza d’essere, la pulsazione storica del divenire in composizioni volutamente incomplete e interrotte.
Diversi punti di vista indagano la realtà urbana inquadrando edifici e vie cittadine in cui dominano i rapporti e le prospettive geometriche, che sintetizzano relazioni spaziali complesse ma essenziali. Nel qui e ora della strada Stefano Tubaro va oltre il limite dell’oggettività del presente. Egli indirizza il suo sguardo fuori dallo spazio e dal tempo abituali per immergersi in assonanze e dissonanze spesso ignorate. Le linee portanti scandiscono il ritmo dei chiaroscuri e sottolineano accenti e lampi di colore.
I muri intonacati, le pietre angolari, i capannoni industriali spesso inutilizzati, vivono in una luce nuova, in un tempo diverso da quello reale, saturo e cupo. Le immagini accolgono il senso vergine della poesia, percorso da cromatismi pensati e innaturali.
La luce filtra e si determina senza bisogno di fare corpo. Emerge nella leggerezza.
Ovunque traspare un’emergenza d’essere, la pulsazione storica del divenire in composizioni volutamente incomplete e interrotte.