Questi lavori monocromatici differiscono dalla produzione consueta di Stefano Tubaro. L’artista sente la necessità di valorizzare gli strumenti e i materiali utilizzati all’inizio della sua attività di fotografo, quando la tecnica analogica richiedeva modalità e processi di lavoro particolari. Stefano Tubaro decide di riappropiarsi di questi oggetti inutilizzati e archiviati in laboratorio, per rivivere il senso di queste presenze negli Ossequi. Tutto si configura in modo nuovo. Deposti su carta fotosensibile i vecchi caricatori, le diapositive, le bacinelle, le pinze, le pellicole imprimono tracce regolari, si strutturano in composizioni geometriche potenti e di grande significato. Scaturite da una serie di azioni sistematiche, ordinate e complesse, direttamente collegate al fenomeno preso a simbolo dell’epoca analogica, esse descrivono un cambiamento ancora in atto in Stefano Tubaro, vissuto dall’interno della sua dimensione processuale. L’artista vuole ridare valore alle azioni precise del fenomeno analogico per evocarle come metodo anche nel digitale; compito arduo l’agire rispettoso dell’importanza fondativa delle esperienze passate. La molteplicità dei contributi, la correlazione di eventi disparati che si legano strettamente gli uni agli altri, compiono metamorfosi, creano nuova bellezza anche nelle Stanze Fotogeniche. L’inclusione, difficilmente distinguibile degli Ossequi, risulta necessaria. Preziosa ora come allora.